martedì 29 luglio 2008

Clandestini o vittime?

In uno dei miei viaggi in Africa ho potuto vedere le enormi estensioni di coltivazioni intensive di caffè e di ananas del Kenia. Le infinite piantagioni di cotone del Tchad. Le montagne di arachidi del Senegal. In Asia ho visto il selvaggio disboscamento della foresta pluviale del Kalimantan (Indonesia) e le sue interminabili colline con piantagioni di palme da olio. Si potrebbero denunciare situazioni simili in Brasile, Messico, Colombia, etc. etc. In molti Paesi emergenti del mondo, pian piano si è imposta la distruzione dei modelli produttivi agricoli regionali, che si adattavano più facilmente alle variazioni del clima e riuscivano a soddisfare meglio i bisogni alimentari della gente, a favore delle colture estensive gestite dalle grandi multinazionali alimentari. Avviene così l’assurdo che il riso prodotto in Congo con i modelli agricoli locali, costi di più di quello prodotto negli Stati Uniti d’America attraverso le culture estensive. Le multinazionali hanno il monopolio planetario per la determinazione dei prezzi degli agroalimentari. Avviene così che le arachidi prodotti in Senegal ogni anno, sono pagate sempre di meno ai contadini e vendute sempre di più ai consumatori, con il conseguente sempre maggior guadagno per le multinazionali.
A seguito di tale politica economica i contadini allontanatisi dalle loro terre, sono andati ad inseguire il sogno della ricchezza andando a gonfiare le baraccopoli di cartone e lamiera delle grandi città.
Avviene anche che in occidente i risparmiatori, ignari dei processi economici che sono dietro a questo fenomeno, investono fruttuosamente i loro risparmi nelle azioni dell’agroindustria e dei biocarburanti.
E’ da questi Paesi, spesso ridotti alla fame da queste politiche economiche e dalla spirale delle pazze spese militari giustificate in nome della sicurezza nazionale, che provengono moltissimi immigrati che arrivano nel nostro Paese. Nel 2006 la cifra spesa per gli armamenti è stata di 1.204 miliardi di dollari, mentre se si investissero solo 57 miliardi di dollari in interventi medici di base si salverebbero 8 milioni di vite all’anno. Questo squilibrio planetario ha prodotto 26 milioni di sfollati.
Molti qui in Italia affermano giustamente che “bisogna aiutarli nei loro Paesi”. E’ quanto noi missionari facciamo da sempre. Ma anche noi ci sentiamo impotenti dinanzi a questa “macchina dello sfruttamento” ben organizzata a tutti i livelli ed in ogni ambito. E’ sempre poco ciò che si riesce a fare per rispondere ai bisogni di milioni di poveri, perché gli aiuti finanziari che noi riceviamo arrivano solo da privati ed uomini di buona volontà. Gli aiuti governativi seguono altri percorsi e noi missionari non ne beneficiamo.
Quanti aiuti vengono stanziati dai Paesi cosiddetti sviluppati? Nel 2007 l’Unione Europea ha destinato circa 8,6 miliardi di €uro ai Paesi in via di sviluppo. Nel 2004 solo l’Italia ha speso 34 miliardi di dollari per armamenti: in media i Paesi con reddito elevato spendono ogni anno in media 10 volte in più per le spese militari che per lo sviluppo e la cooperazione.
Cosa faremmo se nel nostro Paese morissimo di fame, rischiassimo la vita per persecuzioni o non ci fosse un futuro per noi ed i nostri figli? Sicuramente emigreremmo. Non ci ricordiamo più il nostro passato di emigranti? Nel mondo ci sono circa 60 milioni di oriundi italiani!
Solo nell’Unione Europea i migranti sono 25 milioni, la maggioranza dei quali proviene dai Paesi fuori dell’Unione. I migranti morti nel viaggio verso l’Europa, dal 1998 ad oggi sono 10.000. E chi è riuscito ad arrivare ? Deve combattere ancora contro la fame, le discriminazioni, lo sfruttamento, la restrizione delle leggi, il diniego di alloggi, etc. etc..
Come si può stare zitti mentre si continua a insultare la dignità dei migranti rimuovendo il nostro passato e le ragioni di una così forte emigrazione? Non si può più chiudere gli occhi su un mondo che produce sempre più divari e discriminazioni.
Perché dobbiamo continuare a chiuderci sempre più in noi stessi e nella paura verso l’altro, verso il diverso pensando che ci rubi il nostro benessere?
Perché considerare l’altro solo ed unicamente in termini di “braccia da lavorare” e non di persone che sono state private della reale possibilità di crescita e di sviluppo nel loro Paese, imboccando la strada dei progetti sostenibili?
Perché la nostra sicurezza fisica, economica, politica oggi sembra il problema più importante?
La vera risposta non è nella chiusura ma nella capacità di accoglienza del diverso, del profugo, di chi pur essendo laureato non disdegna di andare a lavorare in fabbrica o fare i lavori che noi italiani non vogliamo fare.
La vera risposta è su due fronti: da un lato bisognerebbe cambiare la logica dell’economia mondiale fondando gli scambi su principi di equità, sviluppo e solidarietà; dall’altro lato bisogna lavorare con serietà ed a tutti i livelli, per l’integrazione dei migranti, per una società interculturale. Solo lavorando su questo piano dell’integrazione si lavora per la sicurezza e il benessere di tutti. I reati il più delle volte li compiono i disperati, chi è solo, emarginato, escluso. Perché non si parla delle politiche di integrazione degli immigrati invece di quelle di espulsione? Eppure esiste una carta sui diritti di integrazione di migranti. Gli interventi sull’integrazione garantiscono la sicurezza e non quelli repressivi. Chissà perché nessun politico dice questa verità.
Rompiamo questa catena di chiusura e di paura degli immigrati che sono sempre più accomunati ai delinquenti, precludendo ai più giovani, ai nostri figli la possibilità di sperimentare la gioia e la ricchezza di una società interculturale.

Palermo 13 giugno 2008

p. Sergio Natoli omi

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