martedì 25 marzo 2008

"Arcobaleno di popoli"


E’ Domenica. Il sole volge al tramonto ed a due passi dal “palazzo delle aquile”, sede del comune di Palermo, nella centralissima Piazza Bellini, sembra assistere a qualcosa di particolare. Non sono i soliti bus turistici con i tedeschi o i giapponesi di turno che vanno a visitare la bellissima Chiesa della Martorana o Piazza Pretoria. La piccola folla composta da alcune centinaia di persone è variopinta. La maggior parte sono stranieri di ogni colore: africani, europei, asiatici, dell’America Latina molti dei quali con i loro coloratissimi e variopinti vestiti. E’ un’invasione pacifica della piazza. I presenti hanno in mano rami d’ulivo e le grandi foglie di palma, segni inequivocabili di pace. Non sono i soliti stranieri che fanno circolo nei bar o in altri ambienti attorno ad un boccale di birra. Non ci sono timori di furti, rapine, stupri…Non c’è neanche il timore del diverso, di chi non si conosce perché non entra nella nostra personale sfera di amicizia. Alla colorata assemblea si uniscono turisti capitati lì per caso al momento giusto.
L’arrivo del Vescovo ausiliare di Palermo, Mons. Carmelo Cuttitta, vestito con i paramenti sacri, dissolve ogni dubbio: ci troviamo dinanzi ad un’assemblea riunitasi lì per la benedizione delle palme. Dopo aver ricevuto la benedizione tutta l’assemblea, preceduta da una croce portata da quattro persone provenienti dai quattro continenti, si avvia verso l’incantevole Chiesa barocca di Santa Caterina dove si svolgerà la celebrazione eucaristica.
Mentre ciascuno prende posto tra i banchi risuona un canto in lingua Tamil. Un gruppo di ragazze filippine precede i celebranti con la danza della luce, accompagnandoli fin dinanzi al presbiterio.
Le letture sono proclamate in spagnolo, francese ed inglese. La passione di nostro signore Gesù Cristo, in italiano. Dopo l’omelia del Vescovo, un fedele per ogni gruppo etnico presenta la sua preghiera nella propria lingua materna. E’ la preghiera del cuore di cristiani che si ritrovano attorno a Colui che dà senso al loro vivere.
Anche l’offertorio è stato presentato con una danza africana ed accompagna da un canto in lingua Twi. Al momento della dossologia alcune ragazze dello Sri Lanka hanno espresso con un’altra danza l’adorazione al copro di Cristo, con l’offerta dell’incenso. Il canto del padre nostro, proclamato anche in lingua italiana, è stato molto commovente e toccante per l’intensità della preghiera.
Un canto in francese ed uno in lingua Tagalog hanno accompagnato il tempo della santa comunione. Alla fine della celebrazione un canto ecuadoriano, che inneggiava a Gesù Cristo, riempiva di gioia l’assemblea.
I celebranti, preceduti da tutte le donne che avevano danzato nella celebrazione, si sono recati alla fine del tempio per esprimere la volontà di voler andare insieme nel mondo per portare la pace e la gioia dell’incontro con Gesù salvatore del mondo.
Era interessante ascoltare i commenti a caldo della persone. Per gli europei è stata una celebrazione nuova, bella e commovente. Gli africani dicevano: “Oggi l’Africa era qui!”. E gli asiatici come quelli dell’America Latina: “Ci siamo sentiti a casa nostra”.
Diversità di espressioni culturali si sono coniugati con l’unità nell’unica fede, nel medesimo Cristo. E’ stato come se tutti avessimo vissuto una “nuova Pentecoste”: ciascuno parlava la sua lingua e ciascuno nel proprio cuore comprendeva il medesimo amore del Padre. E’ l’esperienza delle ricchezze delle diversità che non vengono annientate o appiattite, ma armonizzate ed “infuocate” dall’unico “amore più grande” che continua a compiersi sull’altare.
La celebrazione di questa santa Messa interculturale, in cui sono state usate ben nove lingue ed espressioni culturali diverse dalle nostre, non sarà un avvenimento isolato, ma si celebrerà ogni terza domenica di ogni mese. E’ la prima iniziativa di un progetto intitolato “arcobaleno di popoli”, che il centro di pastorale per i migranti, insieme ad altri centri pastorali diocesani ha elaborato per favorire l’integrazione dei migranti nel tessuto della chiesa palermitana.
L’èquipe del “Centro di Pastorale per i Migranti” dell’Arcisiocesi di Palermo, formata da due Missionari oblati di Maria Immacolata, da una suora Comboniana è guidata da un responsabile laico. Il Centro ha in elaborazione altre iniziative rivolte in modo particolare ai giovani migranti i “G2”, i giovani della seconda generazione.
Arcobaleno di popoli” vuole essere un cammino che contribuisce a far superare eventuali forme di isolamento sociale e religioso, un cammino che possa divenire una espressione luminosa della multiforme bellezza del popolo di Dio. Un cammino che esalti e dia voce alle diversità culturali dei cattolici presenti nella città e li aiuti ad esprimere l’unica fede in Cristo Gesù.
A questo progetto è stato dato il nome di “Arcobaleno di popoli” intravedendo in questa immagine non solo il richiamo al tema dell’alleanza di Dio con il suo popolo, ma anche come simbolo da cui trarre ispirazione: la luce “si forma dalla diversità dei colori". In prospettiva religiosa vedevamo la possibilità di poter esprimere "l’unità della Chiesa nel medesimo territorio attraverso le diversità culturali". L’eucaristia, il sacramento dell’unità, ne è quindi il punto di partenza ed il punto di partenza.
Attraverso la metodologia della partecipazione attiva, i rappresentanti delle differenti comunità etniche hanno discusso del progetto con le loro rispettive comunità, trovando in esso, se pur ancora abbozzato, un positivo elemento di convergenza che avrebbe contribuito ad aprirsi ad un cammino interculturale facendo superare anche eventuali rischi di chiusura.
Tutte le iniziative terranno conto delle differenze linguistiche e culturali ed avranno sempre come protagonisti attivi i medesimi migranti, considerati non tanto e solamente come “oggetto” del servizio pastorale della Chiesa palermitana, ma prima di tutto come “soggetti” attivi e membra vive della medesima Chiesa che si esprime nella multiforme ricchezza dei suoi doni e delle culture in questo territorio.

“ARCOBALENO DI POPOLI” è un itinerario interculturale per: * rinnovare l’alleanza con la “luce vera che illumina ogni uomo”;
* sperimentare la multiforme ricchezza delle diversità culturali;
* esprimere con il canto la gioia e le difficoltà della vita.
* condividere le speranze ed i progetti per un mondo migliore!
* vivere un cammino interculturale cattolico nel medesimo territorio.
* camminare nella pace insieme con altri.

L’interculturalità non vuole essere semplicemente un metodo, ma una prassi, un atteggiamento, un linguaggio, uno stile comunicativo. Per fare ciò, però, è necessario passare “da una visione dell’uomo da individuo centrato, definito e sufficiente a se stesso, ad essere umano centro di relazioni” dove la diversità dell’essere e dello stare insieme è una continua crescita di una comunità che proprio perché costantemente e vicendevolmente accolta, gode della pace, si educa alla pace e trasmette la pace.
L’interculturalità non solo vissuta tra individui provenienti da nazioni e culture molto diverse tra loro, ma come possibilità di relazione tra gruppi etnici diversi. Una interculturalità collettiva, di gruppi etnici che entrano in relazione tra loro, superando logicità e prospettive, coniugando le diversità in un mosaico poliedrico dove ciascuno può essere protagonista della costruzione della visibilità dell’unico “corpo di Cristo”.
L’interculturalità fondata sull’unicità della medesima Parola accolta e vissuta come “luce per i passi” da compiere nel medesimo territorio per esprimere nella assunzione della diversità la Chiesa “una, santa e cattolica”.

L’obiettivo principale che il progetto “Arcobaleno di popoli” vorrebbe raggiungere è quello di dare un contributo all’integrazione dei cattolici nel tessuto della Chiesa particolare di Palermo.
Integrazione non vuol dire solo che gli immigrati, dato che ormai vivono qui, debbono “adeguarsi” alle leggi, all’economa, al lavoro, allo stile di vita sociale ed ecclesiale del territorio dove adesso vivono anche se spesso solo in modo transitorio.
Integrazione, vuol dire prima di tutto, capacità di accoglienza dell’immigrato da parte della Chiesa, delle sue strutture istituzionali, delle comunità parrocchiali, di ogni forma di comunità cristiana, di ogni persona vista come una “pietra viva” del medesimo “corpo di Cristo”. Capacità di accoglienza che si fa ascolto, sostegno, aiuto, mediazione. Accogliere l’altro come “trascendenza”, amerebbe dire Emmanuel Levinas. “trascendenza perché sfugge alla mia capacità di intellezione, perché la sua individualità mi supererà sempre, per cui anche solo intuendo in lui ciò che in me non sarà mai presente, la sola visione del suo volto mi dirà “Tu non mi ucciderai”, perché altrimenti ti verrà a mancare ciò che io solo posso donarti. Tutto questo si concentra nella famosa espressione del “volto dell’altrui come traccia dell’Altro” scritto con la lettera maiuscola” .
Integrazione che vuol dire, dal versante di chi accoglie, ma anche da quello di chi viene accolto, conoscenza dell’altro con tutte le ricchezze culturali e religiose che ciascuno porta con sé. E’ questo atteggiamento che ci permette di capire chi sono gli immigrati che ci stanno sa fianco, cosa fanno, come vivono, cosa cercano, cosa portano dentro.
Integrazione che vuol dire considerare l’immigrato non solo come soggetto della nostra azione caritativa e pastorale, ma anche come soggetti attivi del cammino di crescita delle singole persone, delle differenti comunità etniche e del loro posto all’interno della Chiesa che vive e si esprime nel medesimo territorio. Un posto che, per vocazione e dignità, è paritario ad ogni altro cristiano.
Integrazione come capacità di saper promuovere e diffondere conoscenze sulle tradizioni, sugli usi, sulle credenze e sui valori, al fine di rendere visibile nel nostro territorio e nella nostra convivenza civile e religiosa, le ricchezze che caratterizzano le diverse forme di religione e di pensiero.
Integrazione che si esprime, almeno per i migranti della prima generazione, nella costante e continua partecipazione attiva alla vita particolare e specifica delle singole e differenti comunità etniche di appartenenza, ma nello stesso tempo nell’apertura e nella partecipazione al cammino della Comunità cristiana intesa nella sua globalità e presente nello stesso territorio. E’ una continua interattività tra particolare ed universale. Ciò produrrà anche il superamento delle possibili forme di isolamento etnico, culturale e religioso; il superamento di forme estreme di ghettizzazione e/o auto-ghettizzazione. E’ un contributo a far sì che ciascuno ed ogni singolo gruppo etnico “nuoti e sappia nuotare” non solo nella “piscina” ma “in mare aperto”.
Sappiamo che il cammino è lungo e complesso, ma siamo fiduciosi che nulla è impossibile a Dio e a quanti si fidano di Lui e della Vergine Maria, la Madre di ogni credente, di ogni uomo.

Palermo 20 Marzo 2008

p. Sergio Natoli omi

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