mercoledì 5 giugno 2013

Il futuro è tenere il tempo

«Il futuro per me è tenere il tempo»
di Allì Traina


Premessa di Sergio Natoli
Jean Philippe ormai da anni è sempre fedele alle prove di canto ed a tutte le attività che promuoviamo con "Arcobaleno di Popoli". Accompagnato sempre dalla mamma o dalla zia, anno dopo anno è diventato il punto di riferimento, quando c'è da tenere il tempo, specialmente con canti africani che hanno un ritmo speciale.
Insieme a lui ci sono anche altri bambini che suonano altri strumenti etnici. Tra tutti si è ormai costruito un legame che supera il fatto di suonare. La musica è come l'acqua in cui tutti nuotano e giocano: sono bambini dell'Ecuador, dello Sri Lanka, Mauritius, italiani. E' bello vederli tutti insieme sego di un'umanità sembra razzismo.

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Jean Philippe S. ha 11 anni e sa esattamente qual è stato il suo primo ricordo. Un ricordo nato già con una colonna sonora. Aveva 4 anni e suo padre stava ascoltando della musica. «Cosa è quel suono?» chiede. E il padre gli spiega che si tratta di una chitarra e di un tamburo. Me lo racconta facendomi immergere nella meraviglia di quando si scopre se stessi per la prima volta. Di quando si scopre qualcosa di sé che ancora nessuno sa.
Nato a Palermo da genitori mauriziani, Jean Philippe ha sempre amato la musica. Fin da quando era molto piccolo si divertiva a vedere che suono facevano le sue mani sul tavolo, sul muro, sul banco di scuola. «A cosa pensi?» gli chiedeva la maestra. «Non pensavo a niente. Avevo sempre una musica in testa e mi divertivo a tenere il tempo». Oggi il tempo lo dà a tutta la corale "Arcobaleno di Popoli" il suo gruppo di musicisti un pò particolare. Li ha conosciuti nel 2008, quando in chiesa ascolta una signora suonare l’organo. Accanto un tamburo. Senza pensarci due volte si alza e comincia a suonare. La chiesa è Santa Maria dei Miracoli, a piazza Marina. «La casa di tutti i popoli», mi spiega, «dove si celebrano messe in italiano, francese e inglese. Che segue gente di ogni parte del mondo». Lì padre Sergio porta avanti il progetto “Arcobaleno dei popoli” volto a superare le barriere culturali e a favorire l’integrazione. Jean Philippe suona il djembè ed è il più piccolo di un gruppo di circa 50 persone che esegue i canti tradizionali di diversi Paesi e in diverse lingue. Quando gli chiedo perché ama suonare mi risponde che sentire il ritmo della musica lo rende felice. Tutto ha un ritmo. La pioggia che cade sulla strada, i passi di corsa, il battere del cuore. E il tempo, il ritmo del mondo, è per tutti lo stesso. Per questo ci si riesce a immedesimare e a emozionare anche ascoltando canzoni di cui non si capiscono le parole. «Grazie ai miei compagni di musica riesco a conoscere tanti mondi diversi – il Ghana, le Filippine, lo Sri Lanka, l'Ecuador – e capisco che siamo tutti uguali».
Si ferma, mi guarda e chiede: «Tu lo sai che io non sono italiano?» lo dice come se stesse rivelando un segreto. «Per essere italiano devo aspettare di diventare grande, 18 anni. E non è giusto. Perché io sono nato qua. E qua faccio il musicista». Non ha paura del futuro Jean Philippe, i bambini non hanno mai paura del futuro. Perché è convinto che tutto migliorerà.
Quest’anno andrà per la prima volta all'isola Mauritius. Suonerà lì con i suoi cugini e ascolterà molta musica. Poi, dice, al ritorno la insegnerà ai suoi amici. È l’inizio del suo sogno: portare a Palermo musicisti e strumenti differenti e fare una grande orchestra. Per insegnare grazie alla musica come è bello imparare dagli altri. E scoprire che tutti seguiamo lo stesso ritmo, lo stesso tempo.
«Vorrei che i bambini che come me nascono in Italia siano cittadini italiani» 


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