«Il futuro per me è tenere
il tempo»
di Allì Traina
Premessa di Sergio Natoli
Jean Philippe
ormai da anni è sempre fedele alle prove di canto ed a tutte le attività che
promuoviamo con "Arcobaleno di Popoli". Accompagnato sempre dalla
mamma o dalla zia, anno dopo anno è diventato il punto di riferimento, quando
c'è da tenere il tempo, specialmente con canti africani che hanno un ritmo
speciale.
Insieme a lui ci
sono anche altri bambini che suonano altri strumenti etnici. Tra tutti si è
ormai costruito un legame che supera il fatto di suonare. La musica è come
l'acqua in cui tutti nuotano e giocano: sono bambini dell'Ecuador, dello Sri
Lanka, Mauritius, italiani. E' bello vederli tutti insieme sego di un'umanità
sembra razzismo.
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Jean Philippe S. ha
11 anni e sa esattamente qual è stato il suo primo ricordo. Un ricordo nato già
con una colonna sonora. Aveva 4 anni e suo padre stava ascoltando della musica.
«Cosa è quel suono?» chiede. E il padre gli spiega che si tratta di una
chitarra e di un tamburo. Me lo racconta facendomi immergere nella meraviglia
di quando si scopre se stessi per la prima volta. Di quando si scopre qualcosa
di sé che ancora nessuno sa.
Nato a Palermo da
genitori mauriziani, Jean Philippe ha sempre amato la musica. Fin da quando era
molto piccolo si divertiva a vedere che suono facevano le sue mani sul tavolo,
sul muro, sul banco di scuola. «A cosa pensi?» gli chiedeva la maestra. «Non
pensavo a niente. Avevo sempre una musica in testa e mi divertivo a tenere il tempo». Oggi il tempo lo dà a
tutta la corale "Arcobaleno di Popoli" il suo gruppo di musicisti un
pò particolare. Li ha conosciuti nel 2008, quando in chiesa ascolta una signora
suonare l’organo. Accanto un tamburo. Senza pensarci due volte si alza e
comincia a suonare. La chiesa è Santa Maria dei Miracoli, a piazza Marina. «La
casa di tutti i popoli», mi spiega, «dove si celebrano messe in italiano,
francese e inglese. Che segue gente di ogni parte del mondo». Lì padre Sergio
porta avanti il progetto “Arcobaleno dei popoli” volto a superare le barriere
culturali e a favorire l’integrazione. Jean Philippe suona il djembè ed è il
più piccolo di un gruppo di circa 50 persone che esegue i canti tradizionali di
diversi Paesi e in diverse lingue. Quando gli chiedo perché ama suonare mi
risponde che sentire il ritmo della musica lo rende felice. Tutto ha un ritmo.
La pioggia che cade sulla strada, i passi di corsa, il battere del cuore. E il
tempo, il ritmo del mondo, è per tutti lo stesso. Per questo ci si riesce a
immedesimare e a emozionare anche ascoltando canzoni di
cui non si capiscono le parole. «Grazie ai miei compagni di musica riesco a conoscere tanti mondi diversi – il
Ghana, le Filippine, lo Sri Lanka, l'Ecuador – e capisco che siamo tutti
uguali».
Si ferma, mi
guarda e chiede: «Tu lo sai che io non sono italiano?» lo dice come se stesse
rivelando un segreto. «Per essere italiano devo aspettare di diventare grande,
18 anni. E non è giusto. Perché io sono nato qua. E qua faccio il musicista».
Non ha paura del futuro Jean Philippe, i bambini non hanno mai paura del
futuro. Perché è convinto che tutto migliorerà.
Quest’anno andrà
per la prima volta all'isola Mauritius. Suonerà lì con i suoi cugini e
ascolterà molta musica. Poi, dice, al ritorno la insegnerà ai suoi amici. È
l’inizio del suo sogno: portare a Palermo musicisti e strumenti differenti e
fare una grande orchestra. Per insegnare grazie alla musica come è bello
imparare dagli altri. E scoprire che tutti seguiamo lo stesso ritmo, lo stesso tempo.
«Vorrei che i bambini
che come me nascono in Italia siano cittadini italiani»
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