martedì 15 gennaio 2013

Noi non possiamo tacere

«Noi non possiamo tacere»
A cura di p. Sergio Natoli, omi
L'anno delle fede, indetto da Benedetto XVI, ci stimola nell'approfondimento della nostra fede. Un approfondimento che oltre a stimolarci nella testimonianza della vita, ci deve rendere sempre più audaci anche nell'annuncio delle ragioni che guidano il nostro modo di vivere con le relative convinzioni evangeliche.
1.     Come gli Apostoli “non possono tacere”
Nel racconto degli Atti degli Apostoli ci viene narrata la loro audacia nell'annuncio della resurrezione di Gesù. Un'audacia che non viene meno nonostante la prigionia. Un'audacia che viene ripagata dall'adesione alla fede di circa cinquemila uomini.
Pietro nonostante il clima persecutorio, non osa dare le ragioni del loro credere:
"Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati».[1]
Le parole franche dei popolani Pietro e di Giovanni erano suffragate dalla presenza che era stato guarito, produssero la loro liberazione. Le parole ed i fatti avvenuti a Gerusalemme hanno convinto i capi del popolo e gli anziani. Pur vivendo un conflitto interiore se parlare o meno scelgono di ubbidire a Dio, e pieni di Spirito Santo, hanno continuato ad annunciare la Parola di Dio con franchezza.
Nasce così la prima comunità cristiana che "era un solo ed un'ama sola". modello per la Chiesa futura e per tutti i cristiani.
L'esperienza degli apostoli e delle comunità cristiane fino ai nostri giorni, ci dice l'importanza dell'annuncio che la salvezza si realizza in Cristo Gesù, morto e risorto.

2.     L’amore di Cristo ci spinge
Gli apostoli e i santi in passato, noi cristiani oggi, possiamo sperimentare che la salvezza ricevuta ed offerta attraverso l’azione missionaria o evangelizzatrice, sgorga sempre dall’Amore.
Paolo scrivendo ai Corinzi affermava che “l’amore di Cristo mi spinge”[2] ad annunciare quanto a sua volta aveva ricevuto: Che Gesù aveva dato se stesso per il riscatto, perché non c’è amore più grande di colui che dà la sua vita per amore dei suoi amici.
Nella prima lettura san Giovanni afferma: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui»[3]. E nel Vangelo Cristo dice ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore [...] come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore [...] Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri»[4].
«È l’amore che conta. È l’amore che fa camminare il mondo, giacché se uno ha anche una missione da svolgere essa è tanto più feconda quanto più è intrisa d’amore»[5]. E ancora: «Il cristiano di oggi deve essere “carità vissuta” momento per momento, per rispondere alle esigenze della Chiesa, agli interrogativi del mondo». Perché «C’è chi fa le cose “per amore”. C’è chi fa le cose cercando di “essere l’Amore”». [6]
È questo amore che porta all’appassionata ricerca di quanto voleva Gesù: dell’unità, «perché tutti siano una cosa sola [...], perché il mondo creda»[7]. La salvezza è la ricomposizione dell’unità interiore nella singola persona, là dove avviene la “ri-creazione” dell’essere umano perché s’incontra con il nuovo Adamo, Gesù Cristo crocifisso e risorto; dell’unità tra le persone per essere segno ed icona della Trinità, dell’unità con la creazione per rendere già visibile, anche se non ancora in pienezza, quei “cieli nuovi e quella terra nuova” inaugurati da Gesù stesso con il Regno di Dio.

3.     La testimonianza: un impegno derivante dalle beatitudini (RM, 11).
L’evangelizzazione si realizza non soltanto attraverso la predicazione del Vangelo, ma anche per mezzo della testimonianza personale, che è una via grande efficacia evangelizzatrice. A sua volta, la testimonianza da sola non basta, se non è illuminata, giustificata ed esplicitata da un annuncio chiaro ed inequivocabile del Signore Gesù”.[8]
E' opportuno sottolineare l’importanza ed il “dovere dell’annuncio esplicito di Gesù Cristo senza ridurre l’evangelizzazione al dialogo interreligioso o all’azione sociale a favore dei poveri; che la spinta evangelizzatrice non nasce nella Chiesa da motivi di espansione del cristianesimo a danno di altre religioni, ma dall’amore che si nutre per le persone che non conoscono Gesù Cristo e quindi mancano della piena verità su dio e sul loro destino. Che l’annuncio del Vangelo non nega né umilia la libertà religiosa ma la esalta nel suo senso più alto, perché l’essere umano non è mai più libero di quando aderisce alla verità.”[9] In quest’ottica l’offerta della verità evangelica  rispetta la libertà umana ed è fatta in spirito di gratuità, carità e dialogo.
 “Che dire allora delle obiezioni, in merito alla missione ad gentes? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, diciamo con Paolo: «Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede». (Rm 1,16) I martiri cristiani di tutti i tempi ed anche del nostro, hanno dato e continuano a dare la vita per testimoniare agli uomini questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di Gesù Cristo, il quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha riconciliato gli uomini con Dio. Cristo si è proclamato Figlio di Dio, intimamente unito al Padre e, come tale, è stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue parole con i miracoli e la risurrezione da morte. La chiesa offre agli uomini il vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del cuore umano: esso è sempre «buona novella». La chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini. All'interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della chiesa che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente «la nostra pace», (Ef 2,14) e «l'amore di Cristo ci spinge», (2 Cor 5,14) dando senso e gioia alla nostra vita. La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, «è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo». (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati.




[1] At 4,1-22; 31-35
[2] 2 Cor 5,14
[3] 1 Gv 4, 16
[4] Gv 15, 9-17
[5] Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, p. 126
[6] Chiara Lubich, ibidem, p. 127
[7] Gv 17, 21
[8] De Rosa, ibidem, pag 381; Congregazione…, n. 11
[9] Giuseppe De Rosa, Bisogna ancora annunciare il Vangelo?, Civiltà Cattolica, quaderno n. 3784, 16 Feb. 2008 pagg. 376-382

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