«Noi non possiamo tacere»
A cura di p. Sergio Natoli, omi
A cura di p. Sergio Natoli, omi
L'anno
delle fede, indetto da Benedetto XVI, ci stimola nell'approfondimento della
nostra fede. Un approfondimento che oltre a stimolarci nella testimonianza
della vita, ci deve rendere sempre più audaci anche nell'annuncio delle ragioni
che guidano il nostro modo di vivere con le relative convinzioni evangeliche.
1.
Come gli
Apostoli “non possono tacere”
Nel racconto degli Atti degli
Apostoli ci viene narrata la loro audacia nell'annuncio della resurrezione di
Gesù. Un'audacia che non viene meno nonostante la prigionia. Un'audacia che
viene ripagata dall'adesione alla fede di circa cinquemila uomini.
Pietro nonostante il clima
persecutorio, non osa dare le ragioni del loro credere:
"Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del
popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un
uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a
tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno,
che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta
innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi,
costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi
è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che
possiamo essere salvati».[1]
Le parole franche dei popolani
Pietro e di Giovanni erano suffragate dalla presenza che era stato guarito,
produssero la loro liberazione. Le parole ed i fatti avvenuti a Gerusalemme
hanno convinto i capi del popolo e gli anziani. Pur vivendo un conflitto
interiore se parlare o meno scelgono di ubbidire a Dio, e pieni di Spirito
Santo, hanno continuato ad annunciare la Parola di Dio con franchezza.
Nasce così la prima comunità
cristiana che "era un solo ed un'ama sola". modello per la Chiesa
futura e per tutti i cristiani.
L'esperienza degli apostoli e
delle comunità cristiane fino ai nostri giorni, ci dice l'importanza
dell'annuncio che la salvezza si realizza in Cristo Gesù, morto e risorto.
2.
L’amore di
Cristo ci spinge
Gli apostoli e i santi in passato,
noi cristiani oggi, possiamo sperimentare che la salvezza ricevuta ed offerta
attraverso l’azione missionaria o evangelizzatrice, sgorga sempre dall’Amore.
Paolo scrivendo ai Corinzi
affermava che “l’amore di Cristo mi spinge”[2]
ad annunciare quanto a sua volta aveva ricevuto: Che Gesù aveva dato se stesso
per il riscatto, perché non c’è amore più grande di colui che dà la sua vita
per amore dei suoi amici.
Nella prima lettura san Giovanni
afferma: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio
è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui»[3].
E nel Vangelo Cristo dice ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, così
anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore [...] come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore [...] Questo vi comando:
amatevi gli uni gli altri»[4].
«È l’amore che conta. È l’amore
che fa camminare il mondo, giacché se uno ha anche una missione da svolgere
essa è tanto più feconda quanto più è intrisa d’amore»[5].
E ancora: «Il cristiano di oggi deve essere “carità vissuta” momento per
momento, per rispondere alle esigenze della Chiesa, agli interrogativi del
mondo». Perché «C’è chi fa le cose “per amore”. C’è chi fa le cose cercando di
“essere l’Amore”». [6]
È questo amore che porta
all’appassionata ricerca di quanto voleva Gesù: dell’unità, «perché
tutti siano una cosa sola [...], perché il mondo creda»[7].
La salvezza è la ricomposizione dell’unità interiore nella singola persona, là
dove avviene la “ri-creazione” dell’essere umano perché s’incontra con il nuovo
Adamo, Gesù Cristo crocifisso e risorto; dell’unità tra le persone per essere
segno ed icona della Trinità, dell’unità con la creazione per rendere già
visibile, anche se non ancora in pienezza, quei “cieli nuovi e quella terra
nuova” inaugurati da Gesù stesso con il Regno di Dio.
3.
La
testimonianza: un impegno derivante dalle beatitudini (RM, 11).
L’evangelizzazione si realizza non
soltanto attraverso la predicazione del Vangelo, ma anche per mezzo della
testimonianza personale, che è una via grande efficacia evangelizzatrice. A sua
volta, la testimonianza da sola non basta, se non è illuminata, giustificata ed
esplicitata da un annuncio chiaro ed inequivocabile del Signore Gesù”.[8]
E' opportuno sottolineare
l’importanza ed il “dovere dell’annuncio esplicito di Gesù Cristo senza ridurre
l’evangelizzazione al dialogo interreligioso o all’azione sociale a favore dei
poveri; che la spinta evangelizzatrice non nasce nella Chiesa da motivi di
espansione del cristianesimo a danno di altre religioni, ma dall’amore che si
nutre per le persone che non conoscono Gesù Cristo e quindi mancano della piena
verità su dio e sul loro destino. Che l’annuncio del Vangelo non nega né umilia
la libertà religiosa ma la esalta nel suo senso più alto, perché l’essere umano
non è mai più libero di quando aderisce alla verità.”[9]
In quest’ottica l’offerta della verità evangelica rispetta la libertà umana ed è fatta in spirito di gratuità,
carità e dialogo.
“Che dire allora delle obiezioni, in merito alla missione ad
gentes? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, diciamo
con Paolo: «Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la
salvezza di chiunque crede». (Rm 1,16) I martiri cristiani di tutti i
tempi ed anche del nostro, hanno dato e continuano a dare la vita per
testimoniare agli uomini questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di Gesù
Cristo, il quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha riconciliato gli
uomini con Dio. Cristo si è proclamato Figlio di Dio, intimamente unito al
Padre e, come tale, è stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue
parole con i miracoli e la risurrezione da morte. La chiesa offre agli uomini
il vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del
cuore umano: esso è sempre «buona novella». La chiesa non può fare a meno di
proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la
croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini. All'interrogativo:
perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della chiesa
che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui
siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del
peccato e della morte. Cristo è veramente «la nostra pace», (Ef 2,14) e
«l'amore di Cristo ci spinge», (2 Cor 5,14) dando senso e gioia alla
nostra vita. La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra
fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il
cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In
un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione
della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato,
ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è
venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli
uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la
missione? Perché a noi, come a san Paolo, «è stata concessa la grazia di
annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo». (Ef 3,8)
La novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a
essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati.
[1]
At 4,1-22; 31-35
[2]
2 Cor 5,14
[3]
1 Gv 4, 16
[4]
Gv 15, 9-17
[5]
Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, p. 126
[6]
Chiara Lubich, ibidem, p. 127
[7]
Gv 17, 21
[8]
De Rosa, ibidem, pag 381; Congregazione…, n. 11
[9]
Giuseppe De Rosa, Bisogna ancora annunciare il Vangelo?, Civiltà Cattolica,
quaderno n. 3784, 16 Feb. 2008 pagg. 376-382
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